Banche centrali, oltre il Quantitative Easing

Martedì, 26 Febbraio 2019

Economia e mercati

Stop. A gennaio 2019, la Banca centrale europea ha interrotto il programma di acquisto di titoli di debito avviato nel 2015 per stimolare l’economia in crisi, il cosiddetto “Quantitative Easing” (allentamento quantitativo). Per comprendere la portata di questa decisione, dobbiamo per forza partire dal ruolo delle banche centrali.

Cos’è una banca centrale?

È un’istituzione pubblica che gestisce la valuta di un Paese o di gruppo di Paesi, come per esempio l’area euro. Generalmente, il suo compito consiste nel monitorare la quantità di moneta in circolazione per contrastare spirali inflattive e svalutazione. Ma spesso e volentieri tra le sue responsabilità più o meno implicite c’è anche quella di dare supporto al sistema economico nelle fasi di rallentamento e recessione.

La banca centrale dispone di un set di strumenti: uno dei principali è la prerogativa di fissare i tassi di interesse per gestire, in maniera indiretta, il costo del denaro che, tramite il sistema bancario, arriva alle famiglie e alle aziende:

  • se l’ingranaggio economico gira al massimo, rischiando di innescare un aumento preoccupante dei prezzi di beni e servizi (questo è, in sostanza, l’inflazione), la banca centrale lo “raffredda” alzando il costo del denaro e rendendo il credito più costoso;
  • se invece scende troppo di giri, la banca centrale prova a imprimergli una spinta diminuendo il costo del denaro e, quindi, favorendo la circolazione del credito tra le imprese e le famiglie.

“Whatever it takes”

L’arsenale di una banca centrale contempla anche armi di portata eccezionale, oltre a quelle più ordinarie. E ce ne ha dato prova la storia recente. Nel 2008 ha preso il via la Grande Crisi innescata dai mutui subprime negli Stati Uniti, che nel 2011 è sfociata nella crisi del debito sovrano in Europa. Dopo aver portato a zero – quando non addirittura sotto lo zero – i tassi di interesse, le banche centrali hanno iniziato a fare ricorso ad altri strumenti, anche straordinari, per tirare l’economia mondiale fuori dalle secche.

Alla fine di luglio del 2012, il presidente della BCE Mario Draghi ha promesso che avrebbe fatto quanto necessario – “whatever it takes” – per sostenere l’euro. Dichiarazione cui nel 2015 ha fatto seguito il Quantitative Easing, ovvero, un programma di acquisto di titoli finanziari denominati in euro ed emessi da istituzioni e governi europei –per un totale di 60 miliardi di euro al mese.

Politiche monetarie in retromarcia

Gli acquisti mensili si sono poi via via ridotti fino ad arrivare a 15 miliardi al mese per poi interrompersi a gennaio. Tuttavia, la BCE continuerà a reinvestire, integralmente, il capitale rimborsato sui titoli in scadenza "per un prolungato periodo di tempo successivamente alla data in cui inizierà a innalzare i tassi di interesse di riferimento", e in ogni caso “finché sarà necessario per mantenere condizioni di liquidità favorevoli e un ampio grado di accomodamento monetario”.

I tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale sono intanto fermi rispettivamente allo 0%, allo 0,25% e al -0,40%. E l’Eurotower finora ha più volte ribadito che così resteranno almeno fino all’estate. Poi? Molto dipende da cosa farà la Federal Reserve: se la banca centrale USA sospendesse il rialzo dei tassi, per la BCE sarebbe più difficile alzare il costo del denaro nella zona euro.

Nel 2019, quindi, potrebbero non esserci decisive strette monetarie nelle grandi economie avanzate. Il che non significa che si riaprirà la diga della liquidità: il bilancio della Fed continuerà a ridursi (ha iniziato a farlo nel 2014) e quello della BCE, come visto, ha appena smesso di crescere.

Quali effetti sugli investitori?

Sul fronte finanziario, gli investitori hanno quindi perso la protezione offerta dai programmi di acquisto di attivi delle banche centrali. Ma sul fronte economico, l’assenza di strette monetarie incisive contribuirà a stabilizzare la crescita, finendo col rassicurarli. La domanda, ora, è: come dovranno orientarsi gli investitori nei prossimi mesi?

Nel complesso, il 2019 potrebbe essere l’anno in cui concentrarsi sui fondamentali per cercare rendimenti sostenibili ed evitare le aree più rischiose fra le diverse classi di attivo.

In generale, sarà essenziale una diversificazione del portafoglio che consenta di assorbire i colpi della volatilità senza risentire troppo della politica monetaria gradualmente meno accomodante delle banche centrali.

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